Uniamo le menti esistenti

in combinazioni nuove che siano utili, forse.

Jason Castriota

“Siamo in fase beta, senza nemmeno un sito internet”. Mancherà forse un pizzico di organizzazione, ma di fantasia e spirito imprenditoriale non è certo privo. Jason Castriota, designer 36enne dal passato in Pininfarina e Bertone, ha introdotto la sua società di design con uffici a New York e Torino, attiva a partire da fine aprile. Castriota sarà affiancato da cinque matite nel disegnare prodotti per conto terzi, fra cui addirittura bottigliette d’acqua e scarpe sportive.

Il designer newyorkese non ha poi voluto fornire commenti riguardo alla sua probabile avventura in Shelby Supercars, pur ammettendo che il marchio ha in cantiere due progetti. fonte autoblog

Di seguito l’intervista realizzata per PIG Magazine

Intervista di Simon Beckerman e Sean Michael Beolchini. Foto di Sean Michael Beolchini. Thanks to Pier Pazzi.

Jason Castriota è un designer di automobili che a soli 35 anni ha raccolto una delle eredità più importanti nel settore: è stato scelto per dirigere il centro stile Bertone a Torino, lo stesso dal quale sono usciti alcuni dei veicoli più rappresentativi nella storia del design automobilistico italiano, come la morbida Lamborghini Miura e la futuristica Lamborghini Countach, la famosa sportiva Lancia Stratos fino alla Fiat Panda dei nostri tempi, e dove i passati direttori creativi portavano nomi come Giorgetto Giugiaro e Marcello Gandini. Jason è un italo-americano, arrivato in Italia per lavorare da Pininfarina, dove ha disegnato le ultime Ferrari e Maserati, ma anche alcune auto “one-off” uniche e speciali che hanno vinto innumerevoli premi internazionali, come la Maserati “Birdcage” e la Ferrari P4-5. La sua prima creazione a casa Bertone si chiama Mantide ed è un esemplare unico che verrà venduto a qualche facoltoso collezionista e che vuole essere il manifesto con cui Castriota riporta lo Stile Bertone ai fasti di un tempo, quando le loro automobili erano sui muri di tutte le camere da letto. Noi siamo andati a Torino per far visita a Jason e chiacchierare un po’ con lui sul suo mondo. Durante la visita Jason ci ha anche mostrato il bellissimo museo Bertone, che vi faremo vedere sul PIG del prossimo mese.

Ciao Jason Scusaci per il ritardo, ci siamo svegliati tardi 🙂 Che ne dici di andare a pranzo e parlare subito del tuo lavoro?
Ottima idea, dopo quando torniamo vi mostro anche il Museo Bertone, vi piacerà un casino! (servizio fotografico sul prossimo PIG di Ottobre, ndr)

(Davanti ad un piatto di Ravioli alla Norma) Secondo me nel futuro il challenge del design dell’auto è quello di disegnare le auto piccole, da città. Non ti piacerebbe farlo?
Si ma non solo le auto piccole, il challenge reale, la sfida vera per il designer dell’auto, è quella di rivisitarla completamente. L’auto come noi la conosciamo oggi ha finito il suo ciclo, sono 100 anni che è immutata, ormai le piattaforme sono quasi tutte uguali. Stiamo sprecando la nostra creatività per vestire sempre la stessa persona, anche se in un modo diverso. In realtà è nel mondo delle corse che si sviluppano le nuove tecnologie, sia nel motore che nella sicurezza, i sistemi di frenata, i materiali. Molte persone pensano “ah che spreco di miliardi spesi su queste macchine, per fare pubblicità ai tabaccai”. Ma è grazie a quella ricerca se oggi nella tua macchinina hai le tecnologie migliori…
Per quanto riguarda ad esempio l’auto elettrica, questa è una grande sfida. E’ molto più difficile di quanto la gente pensi, perchè non esiste un’infrastruttura. Se non sei un paese che dispone di energia nucleare non puoi realizzare l’auto elettrica in modo efficace, perchè una fabbrica che brucia carbone crea più emisssioni di tutte le auto per strada, e se ogni persona in quel paese ogni sera mettesse la spina nella corrente per caricare l’auto, buonanotte… Gli Stati Uniti hanno infrastrutture molto vecchie, cederebbe tutto il sistema, non potrebbero sopportare un’auto elettrica a grandi livelli per il momento. La Cina è completamente diversa. Stiamo parlando di un paese che non ha nessuna infrastruttura, non ha neanche la cultura dell’auto, lì è tutto da fare, e in più stanno costruendo centrali nucleari velocemente e possono veramente fare un’auto elettrica in un giorno, che è una figata. Io ho 35 anni e mi piace il mio motore a benzina, mi piace il rumore, il profumo di un’auto da corsa. Chiaro, ho una responsabilità come designer: quella di provocare, di far vedere un nuovo futuro, perciò anche noi, anche io, che sono conosciuto nel mondo delle supercar devo cercare di aiutare a ridefinire la macchina supersportiva. Il mio compito è realizzare un’auto più leggera e aereodinamica possibile, con meno pezzi, e così avrò fatto il mio lavoro e potrò dormire tranquillo. Nel senso che anche se faccio una macchina con 600 cavalli che consuma 2 litri per 100km comunque ho fatto quello che dovevo fare.

Ho visto un prototipo di un’auto di Fioravanti che aveva gli stessi pezzi: la porta dietro era identica alla porta davanti.
Si chiama Tris, è un concetto su cui Fioravanti ha lavorato per tantissimo tempo.
Questo tipo di evoluzione è stata iniziata da Pininfarina negli anni ‘70, mi sembra il 1972… La macchina aveva porte uguali, paraurti uguale, fari uguali, bottoni tutti uguali. Era uno studio concepito al fine d’ottenere una macchina con meno pezzi possibili, più leggera, più facile ed economica da costruire, da riparare ecc… è un discorso molto intelligente. Infatti la Tris è stata risfoderata per quel motivo. Essendo un grande designer ha pensato che fosse ancora uno strumento interessante.

Quella è creatività. Secondo me la vera sfida sta nell’avere molti vincoli.
Sì, i limiti sono belli perché stimolano la creatività. Infatti, non per ridurre quello che hanno fatto molti grandi designer prima della nostra generazione, ma per dire quello che hanno fatto alcuni di quelli che sono passati da Bertone, come Giugiaro, Gandini ecc.. Quando loro disegnavano auto, lo facevano cercando di renderle oggetti molto più semplici, nonostante non ci fossero gli stessi vincoli d’oggi, produttivi e legislativi. Avevano “carta bianca” e il designer era “The King”… Una delle storie più belle è quella della Countach: Gandini progettò un’auto dalla forma spettacolare, ma la trasmissione e il motore finirono fuori dalla macchina. Non fu Gandini a dover cambiare il disegno, ma gli ingegneri a ristrutturare il veicolo. Oggi è completamente diverso: il designer deve presentare un progetto che possa avere già di base un’alta macrofattibilità.

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Poi, allora non c’erano i computer.
No, il computer era un uomo che stava lì con le curve e faceva il piano di forma. Oggi facciamo tutto in virtuale: fai il disegno del fianco, poi gli fai la scansione, la metti nel computer, prendi i vertici, crei lo spazio, le curve e da lì cominciano a svilupparsi le superfici. Sono dieci anni che faccio questo mestiere (ed è poco) e quando ho iniziato da Pininfarina nel 2001, il 20% del lavoro era virtuale e l’80% manuale, quindi la parte più grande stava nella produzione. Io facevo un progetto bello, mentre di contro la progettazione realizzava solo qualcosa di funzionale, ma più simile a una scatola. Si doveva sempre trovare un compromesso. I due processi ora sono integrati: sono io che progetto il design dell’auto in virtuale al 95%, se non addirittura al 100%. Ad esempio in un progetto come Mantide, io e il mio team abbiamo fresato un modello fisico.  Ho fatto tutto a fianco degli ingegneri. Una volta designer e ingegneri erano separati tra loro, mentre oggi stanno tutti insieme in una stanza.
Qual è l’auto che hai visto nei film e che più ti ha affascinato quando eri piccolo?
Sicuramente la Ferrari 308 GTS in Vacation guidata da Christie Brinkley… A 12 anni vedi questa bionda supermodel stupenda, con la classica bellezza americana, in questa Ferrari guidata su strada aperta, the american dream wrapped in one… E l’altra è sicuramente la Ferrari 250 del film Ferris Bueller’s Day Off. La Countach di Cannonball Run, noi siamo cresciuti in un momento molto bello per le supercar. Un’altra auto che mi piace molto è la De Lorean di Back to the Future.
Secondo me era molto simlile alla Lancia Beta Montecarlo.
Sono molto simili è vero, la Delorean è stata disegnata da Giugiaro, mentre la Beta Montecarlo da Fioravanti quando era a Pininfarina. Negli anni ‘50 c’erano tutte queste carrozzerie sinuose morbide sensuali perchè erano fatte di pannelli d’alluminio battuto a mano e saldato insieme. Era manodopera vera. Invece, con le tecnologie per la produzione di massa, era molto più facile stampare cose piatte e quello fu un nuovo strumento per i designer, perchè avevano scoperto la tecnologia necessaria per fare l’angolo! (le auto degli anni ‘80 ndr). E l’angolo era una cosa nuova, mai vista prima. Non esisteva avere un angolo su una vettura prima di allora e questo ha spinto i designers a fare cose più dure. Dopodichè la tecnologia è cambiata di nuovo ed è arrivata la plastica, e con essa un nuovo modo di lavorare. Tutti realizzavano queste auto “aerodinamiche”, con paraurti che sembravano fatti di formaggio riscaldato… Erano proprio brutte e a vederle oggi abbastanza allucinanti, però è proprio da qui che è iniziata la ricerca aereodinamica e con essa queste forme “a goccia”, come quella della Mantide. E’ interessante anche guardare cos’ha fatto in BMW Chris Bangle, il famoso ex direttore del reparto design: la sfida che lui ha lanciato alla sua squadra è stata quella di chiedersi cosa fossero gli attuali limiti, cosa potessero veramente fare di nuovo con le forme. Per questo hanno cercato di creare delle forme diciamo scultoree, trovando dei modi pazzeschi per usare i laser, intagliando il metallo… Tutto questo è un discorso di tecnologia. Il mondo della moda ad esempio è molto avanzato in quel senso, ci sono aziende come Chanel che fanno molta ricerca. Conosco una persona che lo fa per loro e mi racconta di tessuti fatti in fibra di carbonio, in acciaio, cose veramente pazzesche.
Anche nel campo degli occhiali c’è tutto ciò…
E’ chiaro che nel mondo della moda è tutto molto più facile perchè i vestiti e gli accessori sono, per dirlo in maniera brutale, come una macchina fotografica usa e getta. Esistono per una stagione di 4 mesi. Li metti in produzione e se magari investi in una certa tecnologia forse ti durano anche 2 anni, per 4 stagioni. Comunque sia, non chiuderebbero una fabbrica di 10.000 persone se la “macchina” non va. L’auto è un oggetto veramente complesso con una struttura e delle risorse umane enormi. La responsabilità e la difficoltà dell’auto è anche quella, e non è facile, sopratutto in questo periodo . Ma è in questi momenti che si trovano la voglia e nuove idee e la creatività sarà premiata.

Io ho un sogno: realizzare il mezzo di trasporto del futuro. Vivendo in centro città a Milano mi accorgo che è diventato insostenibile, che non è più possibile usare l’automobile.
Guarda è un problema sociale. Uno può creare il treno più figo del mondo, di lusso e comodo, ma in fondo è l’auto a rimanere il desiderio dell’uomo. E’ un’idea di libertà. La possibilità di muoverti che l’auto ti dà, con il suo comfort e la sua sicurezza (oltre che il divertimento quando schiacci l’acceleratore), è difficile da rimuovere dalla mentalità delle persone. Per questo non è un argomento facile. Ma come si può risolvere un problema di questo tipo? I miei genitori hanno vissuto sempre a NY o vicino, mio padre lavora ancora a Manhattan e prende il treno ogni giorno. E’ normale, non pensa nemmeno di prendere l’auto. In altre parti degli States l’auto è obbligatoria, ad esempio a Los Angeles. Noi americani scherziamo riguardo a L.A. e diciamo: “every place in Los Angeles needs only 20 minutes”… 20 minuti d’auto minimo per andare ovunque.

Le tue origini italiane? i tuoi genitori sono italiani? Di dove?
Mio padre è calabrese, mia mamma è nata in America, ma la sua famglia è di Torino, perciò sono un misto.

Tu sei cresciuto fin da piccolo con la passione per le auto?
Si ero malato per le auto perchè anche mio padre ne era appassionato… italiano, Ferrari sai com’è. Lui ha sempre avuto macchine italiane, Lancia Delta, Fiat 124. Mia mamma è un’artista ed ha sempre desiderato che io facessi arte perchè ero bravo. Spingeva contemporaneamente anche mio padre a portarmi a vedere le gare, e così le due passioni si sono fuse. Quando avevo 5-6 anni dicevo “da grande andrò in Italia e disegnerò Ferrari”. Andavo da un concessionario Ferrari di NY chiedendo di poter stare lì a disegnare e loro mi dicevano “ma si, non rompi più di tanto”… Arrivavo con la mia bici e stavo lì a disegnare, erano sempre tutti stupiti di questo bimbo che conosceva così tanto quelle auto. Con il passare del tempo notavo tutti i cambiamenti anche minini tra un modello e l’altro. Sono persone che mi hanno un po’ coccolato e che oggi sono diventati miei amici. Raccontano sempre e tutti “sai questo ragazzo veniva sulla sua bici a 12 anni a disegnare le auto e noi eravamo così gentili da non cacciarlo fuori…” . E’ divertente!

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Poi? Ha deciso di frequentare il Pasadena Art Center?
Praticamente è successo così. La mia vita era l’auto. Auto auto auto! Volevo fare l’Art Center. Dopo la scuola disegnavo insieme ad un amico figlio di un pubblicitario che aveva frequentato l’Art Center. Facevamo i giochi del tipo “io disegno la prima parte poi piego il foglio e tu devi disegnare il resto”. Suo padre ha sempre visto che ero bravo a disegnare le auto e mi disse “tu devi andare all’Art Center, perchè l’Art Center è il posto giusto per te”. Ha iniziato a mandarmi i cataloghi della scuola. Era diventata un’idea fissa. A 17 anni io ed i miei abbiamo guardato le università e loro hanno detto: “l’Art Center assolutamente no! È una scuola tecnica e non ti dà un’educazione”. La media degli studenti aveva 25-26 anni perché tutti avevano altre lauree. I miei genitori erano contrari e io da bravo diciasettenne quale ero mi ribellai e decisi di non disegnare mai più… come un coglione. Mi piacevano molto anche la fotografia e la scrittura; il cinema divenne la naturale estensione delle mie passioni. Allora mi sono iscritto all’Emerson College a Boston e mi sono laureato in cinema. E’ stato molto divertente, mi è piaciuto molto, però al quinto anno, dopo 4 anni in cui non disegnavo, mi sono trovato a dover fare degli storyboard. Arrivai in classe con uno storyboard fatto in maniera molto professionale se paragonato a quello di tutti gli altri studenti… c’era anche un’auto dentro. L’insegnate mi chiese chi lo avesse disegnato e io gli dissi che ero stato io. Mi disse che ero molto bravo. In quel momento si è riaccesa una luce e piano piano, come quando avevo 12 anni iniziai a disegnare su qualsiasi pezzo di carta che trovavo intorno a me. Iniziò “il periodo dei ristoranti” in cui disegnavo continuamente sui tovalgioli di carta. Un amico tempo fa mi ha chiamato dicendomi che c’era un mio disegno attaccato alla parete di un ristorante, un mio disegno fatto a mano… una figata! Disegnavo davvero ovunque: una ricevuta, la guida della televisione… c’erano macchine dappertutto. Un giorno mio padre mi guardò e mi disse “vai a disegnare le auto, sono stufo di vederle ovunque”. La mia fidanzata dell’epoca notò la mia frustrazione e mi disse che dovevo seguire la mia passione e aggiunse “se questo Art Center è una scuola seria come dici, sicuramente hanno qualche programma di preparazione” e così telefonai e chiesi “Vorrei fare transportation design, non disegno auto da quando sono piccolo, ma sono molto appassionato e vorrei affrontare questa sfida. C’è qualche corso di preparazione? Non ho alcun portfolio. Come entro alla scuola d’arte senza un portfolio?”. Loro mi risero in faccia dicendo che dovevo frequentare il corso notturno e prepararne uno, altrimenti nulla. A metà agosto mandai l’assegno e mi iscrissi. Tornato a casa dalla fidanzata e dai genitori dissi “Vado in California fra 3 settimane, mi trasferisco a Pasadena”. I miei genitori avevano pienamente ragione: l’Art Center era mille volte peggio di come pensavo. 24 ore su 24: una guerra. A 18 anni non sarei stato pronto per quell’ambiente, ma a 23 e con 5 anni di studi alle spalle lo ero. Avevo già un’educazione, mi ero laureato in comunicazione ed avevo seguito molti corsi: public speaking, debate, arte moderna. Avevo portato a termine un vero arts degree che mi ha preparato per la mia vita a venire.
Sono partito in sesta… a testa bassa. Era una guerra, i miei compagni di scuola mi odiavano. Il primo semestre fu così duro che pensavo non sarei potuto andare avanti. Infatti ho lasciato l’Art Center per un semestre e sono andato a Brooklyn al Pratt Institute dove ho frequentato industrial design e dove mi sono reso conto della differenza. Il Pratt è un’ottima scuola d’arte e d’architettura, ma se vuoi stare nel livello alto non è la scuola giusta. A quel punto mi sono detto “ok, I pick my self up… Va bene, torniamo alla guerra”. Il secondo semestre dell’Art Center era diverso. Erano migliorate le mie skills, il primo semestre non disegni auto, ma cubi e prospettive… era abbastanza noioso, io volevo disegnare auto e per me era frustrante disegnare cubi. Ma il secondo semestre l’insegnante del corso Transportation 1, una bravissima persona, Gus Barkley (che ora lavora per Disney e fa i cartoni animati), ci disse “questa sarà la prima e l’ultima volta che avrete carta bianca nella vostra carriera, disegnate l’auto dei vostri sogni”. All’Art Center gli studenti di moda di alto livello, dell’ultimo anno, facevano render spettacolari che si chiamavano 20×40 perchè le pagine erano appunto 20 pollici per 40; erano enormi fatti a mano con il gesso, pennarelli matite, paint e ti impegnava 10-12 ore per tracciare prospettive. Io dissi:” ora pianto la bandiera da guerra, faccio un 20X40 di una Ferrari supercar con sfondo nero/sfumato grigio come le foto ufficiali”. Sembrava proprio una foto, molto realistica al punto che gli studenti dell’ultimo anno scesero per venire a vedere i disegni fatti da questo studente al suo primo anno. A quel punto la mia insegnate mi chiamò in ufficio dicendomi che ero di un altro livello e che potevo fare quello che volevo, e che avevo dimostrato di essere capace. Mi disse “i tuoi compagni di corso ci arriveranno, ma tu sei già lì, perciò non saresti stimolato dalle cose che ti circondano”. Io la presi come una sfida personale, orgoglioso e contento. Gli insegnanti mi davano sempre doppi compiti, ma nessuno lo sapeva e i miei compagni pensavano che io li volessi umiliare, anche perchè i compiti erano già allucinanti: 20 disegni per settimana, che è tantissimo. Io invece ne portavo 40. Tutti mi odiavano per questo motivo. In più nel momento in cui abbiamo iniziato a fare i modelli in scala io ne facevo sempre 2 nello stesso momento. Una volta, nel quinto semestre la mia classe si è messa contro di me dicendo che facevo fare a tutti una figura di merda e mi chiesero di smettere di fare così tanto. Dissi loro che avrebbero dovuto guardare i miei 40 disegni e pensare “domani ne porto 50”. Dissi “ragazzi non ci sono 900 posti l’anno come designer di automobili, sappiamo bene che ci sono 4-5 persone assunte ogni anno. Se volete essere quelli con la sesta marcia dovete darvi da fare”. Da quell’anno la mia classe è cambiata e dopo ciò ho avuto il loro rispetto e tutt’oggi siamo ancora amici… Anche con i professori facevo delle grandi litigate perchè erano tutti designer. Volevano sempre buttarmi giù, ma io facevo sempre quello che volevo. Anche loro con il tempo mi hanno fatto i complimenti.

Dall’ Art Center a Pininfarina? Com’è andata?
Praticamente è successo che già dal mio 4-5 semestre avevo delle offerte di lavoro. Ho fatto 2 stage, uno a Volkswagen in California presso il loro concept studio e uno alla Ford a Detroit. Sono andati tutti e due molto bene, nel senso che avevo di nuovo molti nemici.
Nel primo progettai un modellino che fu pubblicato da uno dei più importanti magazine tedeschi; erano venuti in California per un articolo, hanno visto il modellino e hanno deciso di pubblicarlo. Ovviamente, i miei capi si sono ben guardati dal dire che era il lavoro di uno stagista… Dissero che si trattava di uno studio avanzato! Da Ford, sempre come stagista, ho vinto un progetto, cosa che all’epoca non succedeva mai ad uno stagista. Il mio capo dell’epoca era Morikawa, ora direttore di tutta la Ford Automobiles a Detrotit. Lui decise, e questo fu molto bello, di assegnarmi il progetto per l’ F250 pick-up. Il mio modello fu comuque “massacrato” dal grande capo che disse che non c’entrava nulla e che era troppo esagerato. Io ero presente alla critica, ma rimasi zitto anche se avrei potuto offendermi un po’: è come quando qualcuno fa dei commenti sul tuo bimbo, la tua creatura. Un errore che fanno molti designer di auto è quello di fare auto per se stessi, che se sono per altri. Il designer si deve rendere conto di chi è il compratore di questo prodotto, deve cercare come un artista di far vedere com’è la strada senza spaventare troppo. Per quello si tentano di usare le concept car (un po’ come nel mondo della haute coutur) per capire come la gente reagisce alle innovazioni. La progettazione dell’auto è molto complessa da tutti i punti di vista. Si tratta, come dicevi tu, di un investimento per una persona, ma anche dell’acquisto di quell’oggetto che ti da libertà. Non esiste qualcuno che compra un’auto senza pensarci bene, neanche uno sceicco di Dubai: non compri una Murcielago perchè ce l’hanno già 10 tuoi amici, devi avere l’auto fatta in un certo modo… Per qualsiasi cosa se hai soldi da spendere e hai una vasta scelta, sei ancora più pignolo. Se hai meno scelta è tutto più facile, ecco perchè funzionava una macchina come il modello T di Ford, la potevi avere solo nera. Quando le persone hanno tanta scelta tutto si complica e aumenta anche l’insoddisfazione. Questo è stato un po’ un errore dei produttori d’auto. Abbiamo cercato di trovare ogni tipo di nicchia, di tipologia di auto con sfumature di dimensione, di utilitarie, sportive, berline, berline-utilitarie, berlina sportive, berline quasi sportive, berline quasi SUV… Ora non si capisce più nulla ed è ovvio che le aziende sono in crisi: ci sono troppe divagazioni di prodotto ed il cliente non capisce più nulla. Se ci fossero meno prodotti, ma ben fatti e diversificati in maniera precisa, avremmo “vanilla or chocolate” non più panna, crema, fior di latte… è difficile, confondi il cliente.

Un unico prodotto, massimo due. Perché il cliente si dovrebbe comunque abituare?
E’ tutta una questione di brand. Il cliente deve conoscere il brand quando c’è veramente un’idea portata avanti. Oggi è difficile, soprattutto nel mondo dell’auto, portare avanti un’idea perchè ci sono troppe teste coinvolte. Come designer è quasi impossibile.

Quello che mi è piaciuto del progetto Mantide è che hai dimostrato che oltre ad essere un designer, sei un ottimo comunicatore.
Sono pochi. Abbiamo fatto una cosa molto innovativa anche con le PR ed il Marketing. Una sorta di viral marketing fra twitter, facebook. La Mantide l’abbiamo messa lì un po’ come una pignatta. Quando si comincia a creare tanto hype intorno a qualcosa automaticamente si crea anche un’onda di negatività. Io credo in quello che faccio. Preferisco vedere un blog in cui ci sono 99 commenti nettamente negativi e 1 nettamente positivo, piuttosto che 100 commenti indifferenti. Domani la gente avrà già dimenticato un oggetto del genere, cosa che invece nn succederà per il primo.

Ti volevo dire questa frase che ho letto di John Maeda… “design is a solution to a problem, art is a question to a problem”.
E’ vero: “art” è una provocazione. “Art” ti forza a guardare le cose in un modo diverso, in modo astratto, come un bimbo di 6 anni… L’artista contemporaneo fa qualcosa e costringe chi lo guarda a pensare. Invece nel design si dice “c’è un problema e questa è la soluzione”. Io vorrei fare la cose inversa: dare le soluzioni creando qualcosa che comunque ti ponga una domanda.

Infatti io a John Maeda ho risposto “when is design going to raise any questions?”
In realtà è l’idea della “functional art” e nel mondo dell’arredamento secondo me è facile. Pensa ad una lampada, una scultura o simili. Fare un oggetto come l’auto, parlando di functional art, è diverso, è molto più complesso. E’ una bella sfida.

Chi è il designer di auto che più ti ha influenzato?
E’ dura… Direi due sicuramente, perché il mio stile personale cade proprio lì in mezzo: Fioravanti, che per tanti anni è stato a capo di Pininfarina, quello che ha disegnato la BB512, la Daytona… Faceva delle macchine molto belle, ragionate ed era anche molto appassionato di aerodinamica. Mi piace molto perchè era un vero designer, anche se di mestiere in realtà era un ingegnere. Cercava le soluzione al problema nel modo più estetico possibile e lo stimo tantissimo per il lavoro che ha fatto dagli anni ‘60 fino ai ‘90. Dall’altro lato c’è Marcello Gandini che faceva questi oggetti estremi, crudi più arte che automobile.

Penso che lui abbia disegnato l’auto più bella del mondo che è la Miura…o almeno così dicono…
Lui ha disegnato quella macchina anche se in realtà non era proprio “sua”.
E’ considerata la macchina più bella del mondo per tante ragioni perchè quando uscì era la prima del suo tipo e in quel momento fu proprio stravolgente, ma in realtà non come una Countach. La Miura si porta dietro ancora un po’ d’influenza di quello stava succedendo in quel momento, una certa classicità e plasticità del design. La Miura infatti non mi sembra che rappreseti il 100 % del design di Gandini. Le vere auto Gandini sono la Lancia Stratos e la Countach.

Bertone ha avuto una mentalità veramente aperta per prendere delle persone così giovani.
Bertone è molto diverso da Pininfarina perchè era ed è un visionario, che ha capito che è veramente importante non avere una sola traccia. Pininfarina ha sempre cercato una filosofia d’auto, una macchina un po’ timeless. Bella e un po’ classica, moderna… ma non un moderno contemporaneo. Invece Bertone cercava costantemente l’avanguardia, ha sempre voluto giovani forti e non ha mai nascosto le persone, sapeva che sullo store front c’era comunque scritto Bertone quindi, Scaglione o Castriorta non importa perchè è sempre Bertone. Io sono onorato d’esserci, si tratta di una famiglia che ha sempre dato carta bianca per continuare la sua storia. E si vede. Alle diverse epoche di Bertone corrispondono diversi stili: le prime macchine sono morbide e formose (di Scaglione), dopo ci sono le macchine di Giugiaro che sono molto classiche, dopo l’estremismo di Gandini, poi Duchamp che ha esteso lo stile di Gandini, ma ammorbidendolo perchè erano gli anni ‘80-’90.
Purtroppo dopo l’uscita di Duchamp hanno perso un po’ la strada. Non avevano più Lamborghini come cliente fisso, e quindi non avevano più una vetrina come Pininfarina che con la Ferrari, ha la capacità di fare le cose di grande impatto.

Qual è secondo te l’auto perfetta oggi ?
Un’auto sola perfetta non esisterà mai perchè ogni auto deve essere perfetta per il suo utilizzo. Oggi puoi dire che la migliore super sportiva è questa e la migliore utilitaria è quella… Probabilmente l’auto che comprende il meglio di tutto (a me piace chiamarla l’ipod delle auto) è la Mini Cooper perchè è una macchina estremamente divertente da guidare e anche se sei un po’ snob, non sfiguri arrivando con una Mini Cooper. Non costa troppo, è piccola, non consuma molto, è stilosa ed affidabile. Hanno azzeccato con il prodotto.

Ma… Non mi hai detto poi come sei arrivato da Pininfarina?
Ah si, è vero (ride). Praticamente a quel punto avevo un po’ di scelte lavorative però io volevo assolutamente andare da Pininfarina. La prima volta che ho provato sono stato rifiutato perchè non prendevano mai i ragazzi dalla scuola per un discorso di professionalità… Non vincere lo stage è stata una botta non da poco. Però il direttore del momento mi aveva scritto una lettera personale dove mi aveva dato una serie di suggerimenti costruttivi sul mio lavoro e mi aveva tranquillizzato perchè dimostrava che mi avevano capito e mi stavano dicendo “continua così e la prossima volta andrai bene”. Ed è andata proprio così.
Quando ho rifatto la domanda ero pronto e mi hanno accettato. Sono partito subito per l’Italia, con un anno e mezzo di scuola da finire. Partecipavo ad uno stage di 3 mesi, ma dopo il secondo mese mi hanno offerto il lavoro perchè stavo già contribuendo in modo significativo. Mi hanno chiesto se volevo tornare a scuola a finire la mia laurea per poi ritornare in Italia o iniziare da subito e io gli dissi “no no… io sto qua. Ormai sono andato a scuola e ho già una laurea. Un’altra non mi serve. Io sono qui per disegnare le auto”.
Ho chiamato la scuola e ho detto “io non torno”. Si sono incazzati perchè giocano sul fatto che è necessario seguire un programma per trovare lavoro, invece io ho tagliato la scuola e ho iniziato a lavorare.

E’ la classica storia dei geni questa….
Genio non lo so. Sicuramente ci vogliono le capacità. Ho avuto in regalo un talento che non so da dove sia arrivato e sono cresciuto in un certo ambiente intriso d’arte e di belle automobili, da una famiglia italo-americana a New York, il posto dove tutto è possibile. Per assurdo ho fatto il “reverse commute” da New York all’Italia.

Quelli che riescono a fare queste cose spesso sono persone alle quali i genitori non hanno posto limiti che sono cresciute sperimentando, spingendosi sempre oltre.
Giusto. È anche vero che se io fossi nato in Indiana da un padre a cui non piacevano le macchine, una madre che non aveva nulla a che fare con l’arte, credo che sarebbe stato molto più difficile arrivare dove sono oggi. I miei mi hanno spinto a fare ciò che volevo. Mio padre mi ha sempre detto: fai le cose che ti appassionano il successo arriverà. In più è cresciuta negli anni una certa disciplina, un’etica del lavoro, una certa forza di carattere. E quando le opportunità si sono presentate sono stato pronto a sfidare e a conquistare. È stato un percorso duro, dall’Art Center ad oggi sono passati 10 anni… “Every overnight success takes 10 years”.

Grazie Jason
Grazie a voi!

http://www.stilebertone.it/

2 commenti su “Jason Castriota

  1. Alvise
    aprile 17, 2010

    Cero che se non è un tuo sosia questo Jan! sei sivuro di non esserci tu dietro a Jason? 😉

  2. Pingback: Notizie dai blog su Jason Castriota è il nuovo responsabile design Saab

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Questa voce è stata pubblicata il marzo 25, 2010 da in design, motori.

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